Salomone "Moni" Ovadia Nasce a Plovdiv in Bulgaria nel 1946, da una famiglia ebraico-sefardita.
Dopo gli studi universitari e una laurea in scienze politiche ha dato avvio alla sua carriera d'artista come ricercatore, cantante e interprete di musica etnica e popolare di vari paesi. Nel 1984 comincia il suo percorso di avvicinamento al teatro, prima in collaborazione con artisti della scena internazionale, come Bolek Polivka, Tadeusz Kantor, Franco Parenti, e poi, via via proponendo se stesso come ideatore, regista, attore e capocomico di un "teatro musicale" assolutamente peculiare, in cui le precedenti esperienze si innestano alla sua vena di straordinario intrattenitore, oratore e umorista. Filo conduttore dei suoi spettacoli e della sua vastissima produzione discografica e libraria è la tradizione composita e sfaccettata, il "vagabondaggio culturale e reale" proprio del popolo ebraico, di cui egli si sente figlio e rappresentante, quell'immersione continua in lingue e suoni diversi ereditati da una cultura che le dittature e le ideologie totalitarie del Novecento avrebbero voluto cancellare, e di cui si fa memoria per il futuro.
Uno spettacolo che “sa di steppe e di retrobotteghe, di strade e di sinagoghe”. Tutto questo è ciò che Moni Ovadia chiama “il suono dell’esilio, la musica della dispersione”: in una parola della diaspora
Moni Ovadia legge e commenta l'enciclica di Papa Francesco L'umanità non può più permettersi uno sfruttamento sconsiderato della natura finalizzato ai propri interessi economici ma necessita più che mai di un rinnovamento nel segno di una conversione ecologica globale "Un'ecologia Integrale, vissuta con gioia e autenticità"
Una zattera in forma di piccola scena approdava in teatro venticinque anni fa. Trasportava sei vagabondi, cinque musicanti e un narratore di nome Simkha Rabinovich.
Ripercorrendo l'uso cabalistico che gli Ebrei hanno fatto nell'antichità dei numeri nella gematria, Ovadia e Odifreddi raccontano le storie dei più famosi matematici ebrei della modernità.
“Ebrei e Zingari” è un recital di canti, musiche, storie Rom, Sinti ed Ebraiche che mettono in risonanza la comune vocazione delle genti in esilio.
La lingua, la musica, e la cultura Yiddish, quell’inafferrabile miscuglio di tedesco, ebraico, polacco, russo, ucraino e romeno, la condizione universale dell’Ebreo errante, il suo essere senza patria sempre e comunque, sono al centro di “Oylem Goylem”. Si potrebbe dire che lo spettacolo ha la forma classica del cabaret comunemente inteso. Alterna infatti brani musicali e canti a storielle, aneddoti, citazioni che la comprovata abilità dell’intrattenitore sa rendere gustosamente vivaci. Ma la curiosità dello spettacolo sta nel fatto di essere interamente dedicato a quella parte della cultura ebraica di cui lo Yiddish è la lingua e il Klezmer la musica.
“Kavanàh”, che significa “partecipazione” al canto, raccoglie brani di differente ispirazione, partendo dagli inni sacri ebraici della sinagoga per arrivare a quelli di tradizione tzigana. Voci lontane accomunate nell’esaltazione dell’amore per il divino, linguaggi differenti che si intrecciano nella medesima partecipazione.
Moni Ovadia si confronta con il canto XXVI dell’inferno Dantesco in cui emerge la figura di Ulisse.
In questo recital/monologo intratterrà il pubblico con riflessioni, letture e storielle ispirate al suo vastissimo repertorio.
Rotte mediterranee, un recital su un intreccio di racconti e canzoni popolari dell’area mediterranea e composizioni originali di Giovanni Seneca. Il Mare come un ponte collega mondi un tempo strettamente legati che continuano a mantenersi in contatto: la cultura è strumento di comunicazione per il dialogo tra i popoli.
Incontri, dialoghi, conversazioni e altro ancora; con argomenti di volta in volta diversi.