April 30, 2019

25 aprile. “Marocchinate”: strepitoso Ariele Vincenti per una riflessione gandhiana sul concetto di “liberazione”

26 Aprile 2019
di: BRUNA ALASIA
L’atto unico “Marocchinate”, scritto da Ariele Vincenti con Simone Cristicchi, ci fa rivivere i momenti del secondo conflitto mondiale, successivi allo sfondamento da parte degli alleati della linea di Montecassino, ultimo baluardo tedesco. La guerra era finita e gli italiani avrebbero dovuto essere al riparo da soprusi, ma non fu questa la realtà per le popolazioni del basso Lazio. Ricordate “La ciociara”, romanzo di Alberto Moravia? Racconta di uno stupro subito da una madre e una figlia per mano di soldati che chiamavano “li turchi”. Oggi “ marocchinate” sono definiti quegli atti di violenza, sia sessuale sia fisica, ai danni di migliaia e migliaia di donne, bambini, uomini, effettuati dai goumier, ovvero truppe di nazionalità marocchina inserite nel corpo di spedizione francese per liberare l’Italia. E questa è l’altra faccia della Liberazione, dice Ariele Vincenti sul palco: “Aspettavamo ji salvatori … so’ arrivati ji diavoli”.
Siamo in un paese della Ciociaria, raffigurato unicamente da balle di fieno, dove la mimica strepitosa di Ariele Vincenti da vita ad Angelino, pastore che in un’immaginaria intervista a Enzo Biagi per Epoca – è storico che il giornalista abbia scritto sul tema in quel settimanale – narra la sua già faticosa esistenza prima della guerra, stravolta poi dall’arrivo dell’esercito liberatore: le forze marocchine, alle quali i francesi avevano affidato il compito di rompere la difesa tedesca. Portato a termine l’incarico “le truppe di colore” ottennero come ricompensa il diritto di predare la popolazione civile: due giorni di sfrenatezze durante i quali razziarono tutto quel che potevano. Vittime preferite le donne. Tra queste Silvina, moglie di Angelino, di cui Vincenti ci fa vedere lo strazio. La realtà durissima è tuttavia interpretata dall’attore non con retorica o pesantezza, la bravura di Vincenti sta nella forza di smuovere la risata, che sdrammatizza e coinvolge, come realmente accade al clou della disperazione.
Lo spettacolo si fa seguire grazie alla sceneggiatura spontanea, alla giusta durata, mentre ci istruisce su un aspetto della storia rimosso – ad esempio l’interrogazione di una deputata che chiese al parlamento per quale ragione a queste donne, martirizzate dalle forze di liberazione, non fosse stato dato il riconoscimento di vittime di guerra – utile a una riflessione futura sulle tecniche risolutive dei conflitti. A fine rappresentazione il produttore Marcello Corvino – che nella piéce ha eseguito al violino la “Ciaccona” di Johann Sebastian Bach e ha sottolineato l’intera performance di efficaci intermezzi musicali da lui composti – ha detto: “La guerra è sempre guerra e non bisogna dimenticare la linea di confine che porta alla razzia e alla violenza gratuita”. Ricordandoci gandhianamente come, per il superamento delle controversie, il sentiero della nonviolenza richieda molto più coraggio di quello della violenza.

di Simone Cristicchi e Ariele Vincenti
musiche eseguite dal vivo da MARCELLO CORVINO
costumi Sandra Cardini | Disegno luci Marco Laudando
voci off Elisabetta De Vito, Massimo De Rossi, Aurora Guido
aiuto regia Teodora Mammoliti
regia NICOLA PISTOIA
Prodotto da Corvino produzioni

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